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mercoledì 8 settembre 2010

Panta rei...

Berlusconi ha deciso di salire al Colle, ma non per fare quello che dovrebbe, ovvero formalizzare la crisi di governo e rimettere il proprio mandato nelle mani del Capo dello Stato, bensì per chiedere a Napolitano di dare il proprio placet all’ennesimo illiberale abuso: la rimozione, direi quasi l’epurazione, del Presidente della Camera dei Deputati.
Il tutto nello sprezzo più totale sia della Carta Costituzionale che dei Regolamenti parlamentari. Ne l’una ne gli altri attribuiscono ad alcun organo Istituzionale la facoltà di rimuovere dallo scranno più alto di Montecitorio colui che vi è stato eletto.
Il Presidente della Camera ha un alto ruolo di garanzia: è tenuto a vigilare sul rispetto dei Regolamenti parlamentari, garantendo a ciascun deputato il pieno e libero esercizio dei propri diritti oltre che il rispetto rigoroso dei propri doveri.
L’art. 90 della Costituzione, se da un lato afferma che il Presidente della Repubblica, unico organo a cui è data questa “salvaguardia” costituzionale, non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, dall’altro pure esplicitamente configura, per il Capo dello Stato, gli unici due “reati propri”: quello dell’ alto tradimento e dell’ attentato alla Costituzione.
Dunque, nonostante la eccezionalità costituzionale della figura del Presidente della Repubblica, anche per questi è tuttavia prevista la possibilità della “messa in stato d’accusa” da parte del Parlamento in seduta comune, qualora il Capo dello Stato commettesse uno dei due reati di cui all’art. 90.
E’ proprio sull’ esistenza di questa norma che il Presidente del Consiglio giustifica la richiesta di rimozione di Fini che presenterà a Napolitano: se anche per il Capo dello Stato è prevista costituzionalmente la possibilità di rimettere in discussione il suo mandato, l’assenza di analoga previsione nella Carta e nei Regolamenti parlamentari per i Presidenti di Camera e Senato, rappresenta un “vulnus” normativo superabile quasi per applicazione analogica dell’art. 90.
Ne più ne meno che una bestemmia giuridica.
Infatti, non siamo dinanzi ad un discutibile “vuoto” normativo generatosi da una grave “distrazione” dei padri costituenti ma, al contrario, ci troviamo al cospetto di un mirabilissimo esempio di fine e ponderata architettura costituzionale.
I Presidenti di Camera e Senato svolgono, semplicemente, il ruolo di “arbitri”: la Carta Costituzionale non attribuisce loro i medesimi poteri esercitati dal Capo dello Stato. Solo a quest’ultimo, infatti, spetta il ruolo altissimo di massimo garante della Costituzione e, dunque, soltanto il Presidente della Repubblica e non altri, può e deve essere sottoposto, in casi ristrettissimi, al giudizio del Parlamento che è l’espressione diretta del Popolo sovrano.
Ecco perché, chiedere oggi a Napolitano di rimuovere Fini dalla Presidenza della Camera è l’ulteriore penosa dimostrazione di come sia inopportuna questa classe di governo che, con metafora velistica, si trova al timone senza conoscere le regole essenziali di navigazione.
Eppure questo è diventato il nostro Paese. Un Paese dove tutto ciò, tutto quello che di ignobile accade, anzicchè indignare, suscitare pensiero critico di massa, provocare dibattito sociale, ribellione, analisi feroce e proposta superatrice, come pioggia fitta e sottile, scivola velocissimo ai piedi delle coscienze dormienti, delle bocche plagiate, delle mani plaudenti, delle ginocchia genuflesse: tutte membra di quel mostruoso corpo, impermeabile al Futuro, che è diventata la Società italiana.
Ci siamo abituati, non so quanto consapevolmente, alla quotidianità degli eccessi, al sistematico stravolgimento, a proprio vantaggio, di ogni norma, di ogni legge, di ogni regola, allo sfrontato superamento di qualsiasi limite e steccato, alla ostentazione dei disvalori, alla religione della superbia e del disprezzo palese delle opinioni contrarie, alla sistematica impiccagione del confronto, all’esercizio diffuso e naturale dell’arroganza da parte di potenti e potentini, alla coniugazione sfrontata del personalismo, alla reiterazione dei conflitti d’interesse, alla nausea dei comandanti verso la democrazia e le Istituzioni, alla sottomissione schiavistica dei più deboli da parte dei più forti, alla fulminea decapitazione del dissenso, all’annullamento menefreghista dei diritti sociali conquistati negli anni con il sacrificio di tanti, al disprezzo avvilente per il mondo del lavoro.
Panta rei, diceva Eraclito: tutto scorre.
Ed è proprio così, tutto ci scorre addosso come se fosse qualcosa che non ci riguarda, che non sta accadendo qui, ora e a noi.
E’ la fotografia di un Paese sotto shock, incapace di rialzarsi e di continuare il proprio cammino.
Ma non si creda che questa dissolutezza sia propria soltanto della grande politica, quella romana, quella dei palazzi che contano. La cosa ancor più preoccupante è che questi atteggiamenti dissoluti, sono presenti in modo evidentissimo, ramificati e diffusi, dappertutto. Il virus si è inoculato in ogni struttura di potere costitutiva dello Stato: Regioni, Province, Comuni, Enti sovra territoriali, parastatali, etc…Insomma, ovunque ci sia da poter usare potere decisionale, lì vi è la pedissequa ripetizione del medesimo, squallido, metodo: un mostro che si nutre di prevaricazione e di interessi di parte.
E’ un problema serissimo della politica, di destra, di centro e di sinistra. Ed è un andazzo verso il quale ci si è talmente tanto adusi, da permettere che diventasse sistema. L’opinione diffusa è che: la politica si fa così. Punto.
Provare a cambiarla da dentro questa politica, quasi mai paga. In questa logica ramificatissima del do ut des, dire dei no a chi richiede “aiutini” in favore di una logica di trasparenza e meritocrazia, ad esempio, produce in via immediata un’ emorragia di consenso elettorale assolutamente non tamponabile.
Anche perché, l’”ostacolo” dell’ “onestà” è facilmente superabile semplicemente passando oltre: rivolgendo la medesima richiesta di attenzione ad un altro politico del medesimo rango, spesso si ottengono diverse risposte, evidentemente più vantaggiose sia per chi chiede che per chi risponde.
E’ questo il vero, grande dramma sociale italiano: la diffusione della cultura del sotterfugio, del privilegio, del disvalore. Dove chiunque dice o agisce per un tornaconto immediato, per un interesse spiccio, solo ed esclusivamente pro domo sua. Dall’interesse economico a quello puramente elettoralistico.
Il cittadino che fa politica, impegnato nelle Istituzioni o nell’ amministrazione attiva, dovrebbe capire che su di lui incombe un dovere maggiore: quello di pensare al Futuro della propria Comunità. Per farlo responsabilmente, non si può pensare di poter dire dei no a prescindere e soltanto a chi appartiene alla parte politicamente avversa, ma bisognerebbe avere il coraggio di dire i no giusti anche agli amici, alle persone vicine, nel momento in cui chiedono attenzioni privilegiate per ottenere qualcosa pur non avendone i requisiti.
Bisognerebbe avere il coraggio di rendersi protagonisti di una grande rivoluzione culturale che modifichi la prassi, che inverta gli schemi, che rompa il sistema marcio in cui galleggia il nostro tessuto sociale e che ricacci ai margini estremi di una società che possa dirsi davvero compiutamente civile, la prepotenza, il crimine e l’illegalità, spingendoli energicamente in quell’anfratto scuro e putrido da cui sono venuti per poi  proliferare indisturbate alla luce del sole.
Per farlo, non bastano le belle parole, i convegni, gli impegni di facciata. C’è bisogno di fatti, di azioni concrete. Così come c’è bisogno di compattezza politica nel tenere la barra dritta sulla legalità, considerarla davvero “suprema lex” ed essere uniti nella battaglia di responsabilità verso il Futuro, non cedendo a ricatti o minacce.
Dal canto suo, la cittadinanza genericamente intesa, è chiamata a fare la propria parte, a sostenere apertamente, cioè, coloro che provano a realizzare tutto questo. Dovrebbero, i cittadini perbene, amplificarne il lavoro, aggregare consenso sociale intorno a chi è impegnato in una battaglia difficile e molto spesso solitaria, evitarne l’isolamento politico e sociale, offrire attivamente il proprio contributo per una comunità migliore.
Ancora oggi, chi lotta attivamente per la legalità, chi cerca di passare dalle parole ai fatti, paga un prezzo ancora più alto di tutto il resto, lasciando sul sentiero del Futuro la propria stessa esistenza. Come è accaduto ad Angelo Vassallo, Sindaco di Pollica, in provincia di Salerno, trucidato per aver impedito, con i fatti, al cancro sociale della criminalità di poter disporre del presente e del domani della propria Comunità, della sua Polis. Ancora oggi questo Stato lascia che si uccidano le persone perbene. Ed anche su questo, la Società tace, lascia che tutto le piova addosso, senza alzare il suo sguardo da terra, senza nemmeno provare un colpo di tosse, prima di girarsi dall’altra parte e continuare ad illudersi di stare ancora vivendo.

martedì 7 settembre 2010

nota ufficiale

Il Presidente del Consiglio Comunale della Citta' di Sant'Agata de' Goti (Bn) esprime profonda vicinanza alle Istituzioni Cittadine ed alla intera Comunita' di Pollica (Sa), colpite duramente dall'ignobile ed atroce atto criminale che ha spezzato l'esistenza del Sindaco Angelo Vassallo. Ancora una volta, la lotta per la legalita' impone un dolorosissimo tributo di sangue. Ogni singola persona perbene, le Istituzioni tutte, hanno il dovere di proseguire senza sosta la coraggiosa bataglia per un Futuro migliore. Alla famiglia giunga l'umano cordoglio e la sentitissima partecipazione al loro immenso dolore. Questo terribile episodio sia l'occasione per aprire le menti ed i cuori della gente onesta, ad un orizzonte d'impegno civile sempre piu' forte e sempre piu' attivo contro i soprusi e la violenza.