Preceduto dalla lettura dei versi di Primo Levi e seguito da quella della poesia di Adriano Sofri "Nei Ghetti d'Italia anche questo non è un uomo", da me scelti, ecco il testo dell'intervento che ho tenuto questa mattina durante la cerimonia ufficiale di celebrazione della "Giornata della Memoria" per le vittime della Shoah.
“Signor Sindaco, Sua Eccellenza Monsignore, Signori Consiglieri Comunali, Cari ragazzi Consiglieri Comunali Junior, Autorità Civili, Militari e Religiose, Signori Dirigenti Scolastici, Signori Docenti, cari Studenti, carissimi Concittadini,
ho scelto ed ascoltato con voi, ha affermato Montella rivolgendosi alla platea, i versi struggenti che Primo Levi compose per la prefazione del suo romanzo autobiografico “Se Questo è un uomo” pubblicato nel 1947, per iniziare questo mio intervento e per ricordare quell’abominio universale che fu il nazismo.
Ho voluto farlo con quei versi, perché sono talmente intensi che trasudano dolore, piangono disperazione, gridano orrore e sconfortante impotenza.
Attraverso le parole di Levi a noi tutti sembra di poter ancora ascoltare la disperazione di quelle donne, di quei bambini e di quegli uomini annientati dalla barbarie umana della Shoah.
Un massacro delirante e pianificato, teso al perseguimento della eliminazione fisica di coloro che avevano l’unica colpa di essere “diversi” dai loro carnefici.
Parlando di Olocausto o di Shoah, parliamo di una deliberata, spietata, furia assassina, feroce, cieca e folle, che si abbatté, con violenza assoluta e con una tragica, chirurgica, efficacia, non solo sulla popolazione ebraica, ma anche su altre innocenti categorie di persone “colpevoli” soltanto di non essere tedeschi, o di credere in un altro Dio; di non essere sane o di avere idee ed orientamenti sessuali diverse rispetto alla maggioranza. Primo Levi ebbe miracolosamente salva la vita, ma la sua esistenza, come quella dei pochi scampati all’eccidio di massa, fu un continuo sopravvivere a quegli orrori, fu un continuo respirare il gelo dei tanti occhi e delle tante voci perse, nel disperato tentativo di togliersi di dosso l’odore acre della morte, di fuggire dall’opprimente rimorso di essersi salvato.
Ma il suo fu un tentativo vano, a tal punto da costringerlo a porre fine alla sua stessa vita nel 1987.
Ecco, allora, che la sua testimonianza ci aiuta a comprendere il dramma interiore ed il travaglio di uomini e donne ridotti ad essere il riflesso tetro di un odio sconsiderato, uccisi in vita dalla consapevolezza della loro inumana condizione.
Ricordando la prigionia, Levi scrisse:
Il campo di sterminio è stato organizzato fin dall’inizio per distruggere l’umanità dei deportati, oltre che per sterminarli. Dopo pochi giorni all’interno del campo i deportati rinunciavano già a ribellarsi o soltanto guardare male una SS. Avevano compreso che l’unica cosa importante era mangiare quel poco che veniva distribuito. Di conseguenza cercavano di ingannare gli altri e di derubarli, non essendoci più posto né per la gratitudine né per il rispetto.
L’annullamento della personalità, il degrado dell’essere umano alla condizione di animale, la privazione della dignità: che cos’è tutto questo se non una morte anticipata, una morte ancora più grave, non fisica, bensì spirituale?
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